Breve cronologia della storia di Palestina e Israele

Dai 9 817 ebrei presenti nella terra della Palestina storica nel censimento ottomano del 1881, il numero è aumentato grazie all’immigrazione di massa fino a 554 000 nel 1948, anno della creazione di Israele. Nonostante ciò, la popolazione palestinese rimase in maggioranza e non accettò questa moderna invasione, per cui seguirono sei guerre regionali, due rivolte popolari palestinesi (intifada) e sei guerre israeliane su Gaza (la sesta è quella iniziata l’8 ottobre 2023 e sarà trattata in altra parte di questo sito). Il bilancio delle vittime tra il 1900 e il settembre 2023 è stato di almeno 79 338 arabo-palestinesi e 12 159 ebrei-israeliani.

La cronologia che segue contiene solo un numero limitato di note a piè di pagina e/o collegamenti ipertestuali. Tutte le fonti di informazione consultate sono raccolte in un pdf (disponibile solo in spagnolo-castigliano) che troverete nella versione spagnola-castigliana (castellano) di questa voce su questo sito.

Si prega di consultare  la bibliografia: (1) per Palestina e i palestinesi: http://www.mideastweb.org/palbib.htm; (2) per il sionismo: http://www.mideastweb.org/zionbib.htm; e (3) per la storia di Israele e della Palestina dal 1880: http://www.mideastweb.org/isrzionbib.htm.

1. Tre questioni controverse del passato remoto

Ci sono tre questioni controverse del passato remoto: (1) l’ubicazione dell’Israele storico (Palestina o Asir); (2) l’espulsione degli ebrei dalla Palestina storica (realtà o mito); (3) la purezza e la superiorità della razza ebraica (mito o realtà). Questa prima parte della cronologia includerà un’esposizione delle due principali teorie alla base di queste tre controversie.

1.1. L’Israele storico si trova in Asir

(1.A) Il racconto tradizionale ebraico sostiene che la Bibbia ebraica o Tanakh [acronimo dei 39 libri che contiene, i 5 della Legge (Torah), i 22 dei Profeti (Nevim) e i 13 degli Scritti (Ketuvim)], conosciuta nel mondo cristiano anche come “Antico Testamento”, si sia svolta nel territorio della Palestina storica, dove si troverebbero i regni di Israele e Giudea. Per accedere al racconto tradizionale ebraico, si possono consultare innumerevoli fonti: suggerisco il libro “Judaism” di Oliver Leaman o la pagina sull’antico Israele su Wikipedia.

Tuttavia, non esiste alcuna prova archeologica o toponomastica che la Bibbia ebraica si sia svolta nel territorio della Palestina storica. Nessuna iscrizione trovata in Palestina dagli archeologi fa riferimento alla Gerusalemme biblica o a qualsiasi altro luogo della Bibbia ebraica o del Tanakh. Allo stesso modo, sebbene il Tanakh registri che il popolo eletto si recò in Egitto, nessuna delle antiche iscrizioni egizie riporta questo fatto, che è sempre stato molto strano per la storiografia, data la nota meticolosità della storiografia egiziana.

(1.B) Contro questo resoconto tradizionale si schierano le ricerche dello storico libanese Kamal Salibi, il quale sostiene che la storia del Regno d’Israele, così come riportata nella Bibbia ebraica, si svolse dall’XI al VI secolo avanti l’era comune (AEC) in quella che oggi è la regione di ‘Asir e dello Hijaz meridionale, nell’attuale Arabia Saudita sudoccidentale.

Lo sostiene Salibi nel suo libro “The Bible Came From Arabia” ( “La Bibbia è venuta dall’Arabia”) -libro disponibile in arabo, tedesco e inglese- basato su un’attenta analisi della toponomastica di quell’area.

Il nucleo della spiegazione etimologico-storica di Salibi si basa sul fatto che la Bibbia ebraica, che doveva esistere nella sua forma scritta attuale probabilmente prima del V secolo AEC, è stata costantemente tradotta male. Perché? Perché l’ebraico antico, chiamato anche ebraico biblico, ha cessato di essere una lingua viva e di uso comune intorno al VI o al V secolo AEC; gli ebrei sono passati a parlare le lingue della zona (in realtà, l’ebraico moderno è stato creato da Eliezer Ben-Yehuda, un rivoluzionario della Russia zarista emigrato nel 1881 nel territorio della Palestina storica).

Poiché la Bibbia ebraica è stata scritta (come tutte le lingue semitiche 1, compresi l’arabo e l’aramaico) solo con le consonanti, non con le vocali; e la Bibbia ebraica è stata vocalizzata dagli studiosi ebrei solo nel tardo Medioevo [si stima tra il VI e il X secolo Era Comune (EC)], gli studiosi che hanno vocalizzato e interpretato quella Bibbia non parlavano già da secoli l’ebraico come lingua viva e hanno fatto quella vocalizzazione a partire dalla loro tradizione, ma forse senza sufficienti conoscenze linguistiche effettive. Da qui il merito della ricerca di Salibi, ovvero: tentare di rileggere la Bibbia ebraica, con particolare attenzione alle migliaia di nomi di luoghi in essa contenuti, sulla base della fonologia e della morfologia di una delle altre due lingue semitiche che sono sopravvissute ininterrottamente dall’antichità come lingue vive, ovvero la lingua araba.

Tutti i toponimi citati nella Bibbia ebraica sono sopravvissuti fino ai giorni nostri concentrati in questa regione dell’Arabia Saudita, come dimostra Salibi nel suo libro attraverso dettagliate spiegazioni etimologiche e geografiche basate su cataloghi di toponimi e mappe dell’Arabia Saudita pubblicate tra il 1978 e il 1981. Così, egli documenta la sopravvivenza, tra molti altri luoghi, di: Giordan (p. 83 del capitolo 7); Giudea (pp. 40 e 97); Gerusalemme (pp. 110, 117 e 119-122 del capitolo 9); Hebron (p. 111); Sion (p. 115); Jezrael (p. 128); o Samaria (p. 128).
A titolo di esempio, la mappa riprodotta qui sotto corrisponde a quella contenuta nel capitolo 15 del libro, in particolare a pagina 167, che mostra quali fossero i territori citati nella Bibbia ebraica nella parte in cui si parla di Abramo (Genesi 15:18) e di Mosè (Numeri 34:1-12), la cosiddetta “Terra Promessa“.


Per quanto riguarda l’Egitto, Mosè non è mai stato nel Sinai egiziano, ma il biblico Monte Oreb (Deuteronomio 1:1) può essere identificato, dalla toponomastica sopravvissuta nella zona, con l’attuale Jabal Hadi nella zona costiera dell’Asir (p. 35 e nota 8 a p. 204).

Infine, anche se sarebbe molto importante che venissero effettuate spedizioni archeologiche in Asir per confermare quanto sopra, la sopravvivenza di questo toponimo in Asir, insieme all’inesistenza nei documenti storici antichi di questo toponimo nel territorio della Palestina storica, supportano la conclusione di Salibi che la Bibbia ebraica si è svolta in Asir, conclusione che condivido e che si collega al punto seguente di questa cronologia.

1.2. Emigrazione degli ebrei in Palestina… espulsione e diaspora?

A partire dall’VIII secolo AEC l’emigrazione ebraica dall’area assira a quella della Palestina storica iniziò dopo la guerra civile tra Israele e Giudea, rafforzata dall’invasione dell’assiro Sargon II nel 721 AEC e del babilonese Nabucodonosor nel 586 AEC. Lo storico greco Erodoto descrive già la Palestina nelle “Storie” del V secolo AEC.

Le conquiste di Alessandro Magno nel 330 AEC avevano posto fine all’impero persiano nell’area della Palestina storica e, alla morte di Alessandro, i suoi territori furono divisi tra i suoi generali, con la Palestina che passò sotto il controllo dei Seleucidi.

Gli ebrei di Palestina iniziarono una rivolta contro i Seleucidi intorno al 167 AEC e raggiunsero l’indipendenza intorno al 142 AEC, fondando il regno degli Asmonei.

Con l’arrivo dei Romani nell’area, nel 63 AEC, si stabilì in Palestina il regno di Giudea, tributario di Roma, sotto Erode il Grande (37-4 AEC).

(2.A) Roma distrusse il tempio di Gerusalemme eretto da Erode e costrinse all’espulsione degli ebrei dalla Palestina storica, prima da Gerusalemme e dalla Giudea nel 70 EC, seguita da ulteriori deportazioni fino al 135 EC, da quell’anno, in seguito alla ribellione di Bar Kohba (nota anche come Terza guerra giudaico-romana o Terza rivolta giudaica), sembrerebbe che gli ebrei siano stati espulsi dalla terra, terra alla quale, proprio nel 135 EC, l’imperatore romano Adriano diede il nome di Palestina. Da quel momento in poi, gli ebrei si stabilirono in tutto il mondo, dapprima soprattutto nel mondo arabo, in Nord Africa e in Europa, dando origine alla diaspora ebraica, cioè alla dispersione del popolo ebraico e dei suoi discendenti.

(2. B) In contrasto con questo resoconto storico, storici come l’israeliano Shlomo Sand sostengono nel suo libro “The invention of the Jewish People” (“L’invenzione del popolo ebraico”) che “la diaspora ebraica è essenzialmente un’invenzione moderna“; egli spiega che gli ebrei sono apparsi sulla sponda del Mediterraneo e sul continente europeo attraverso la conversione delle popolazioni locali alla fede ebraica, sostenendo che l’ebraismo era, all’epoca, una “religione di conversione”. Egli sostiene che le conversioni furono effettuate per la prima volta dagli Asmonei sotto l’influenza dell’ellenismo e continuarono fino a quando il Cristianesimo divenne la religione dominante nel IV secolo EC.

(3.A) La teoria dell’espulsione e della diaspora è spesso accompagnata da un terzo elemento: la purezza della razza ebraica e la sua superiorità su tutte le altre razze in quanto unica razza scelta da Yahweh (Dio).

(3.B) Sand sostiene che gli antenati della maggior parte degli ebrei contemporanei molto probabilmente provenivano dall’esterno della Terra d’Israele; che non è mai esistita una “razza-nazione” ebraica con un’origine comune; e che, proprio come la maggior parte dei primi cristiani e dei primi musulmani erano convertiti da altre fedi, anche gli ebrei discendono da convertiti.

In conclusione, che si sia verificata o meno l’espulsione totale degli ebrei dal territorio della Palestina storica nel II secolo, che la diaspora sia stata generata o meno dalla Palestina e che gli ebrei siano o meno una “razza-nazione”, ciò che è importante avere chiaro è che gli eventi di migliaia di anni fa non possono essere usati per giustificare azioni nel XX o nel XXI secolo e che, nel XXI secolo, nessuna razza è superiore a un’altra, tutte sono uguale.

Dopo la divisione dell’Impero Romano, il territorio della Palestina storica fu, dal II al XVIII secolo, prima sotto il dominio dell’Impero Romano d’Oriente, poi successivamente sotto il controllo di: arabi (636-1099), che portarono con sé l’Islam; crociati cristiani (1099-1187); ayyubidi (1187-1250); mamelucchi (1250-1516); impero ottomano (1516-1916).

Gli ebrei, invece, furono soggetti a ulteriori espulsioni dall’Europa. È quindi certo che gli ebrei: (1) furono espulsi dalla Penisola iberica tra il 1492 e il 1498 2, dando vita al ramo ebraico sefardita che nel XV secolo migrò dalla Penisola iberica verso Francia, Regno Unito, il Nord Africa, il Medio Oriente e i Balcani; e che (2) nell’Europa centrale c’era il ramo ebraico ashkenazita che subì anch’esso delle espulsioni. Poiché queste espulsioni successive sono più vicine nel tempo, esistono già fonti di informazione affidabili su di esse, ma non sono più direttamente collegate alla Palestina storica.

2. Dalla nascita del sionismo alla creazione dello Stato di Israele

2.1. Nascita ed espansione nel XIX secolo del sionismo e delle sue aliyot nella Palestina storica

Il XIX secolo vide l’inizio di due processi:

1. L’enunciazione del sionismo politico da parte di diversi rabbini nel XIX secolo, culminata con Teodor Herzel che pubblicò nel 1896 il libro “Lo Stato ebraico” e organizzò e presiedette nel 1897 a Basilea (Svizzera) il Primo Congresso Sionista che creò l’Organizzazione Sionista (OS). Il “Programma di Basilea” affermava: “Lo scopo del sionismo è di stabilire per il popolo ebraico una patria pubblicamente e legalmente sicura in Palestina” e considerava quattro “mezzi pratici per questo scopo:

  1. La promozione di insediamenti ebraici di agricoltori, artigiani e commercianti in Palestina.
  2. La federazione di tutti gli ebrei in gruppi locali o generali, in conformità con le leggi dei diversi Paesi.
  3. Il rafforzamento del sentimento e della coscienza ebraica.
  4. Misure preparatorie per assicurare le sovvenzioni governative necessarie alla realizzazione degli obiettivi sionisti”.

A questo Congresso si opposero due dei tre rami dell’ebraismo ashkenazita, quello riformato e quello ortodosso. I successivi congressi sionisti crearono la rete di sostegno per finanziare l’acquisto di terre in Palestina. Questo sionismo si opponeva all’idea prevalente fino a quel momento, che era quella dell’assimilazionismo, cioè che gli ebrei del mondo dovessero integrarsi e vivere in pace nei paesi ospitanti.

2. Allo stesso tempo, la migrazione degli ebrei verso il territorio della Palestina storica, nota come aliyah o il suo plurale aliyot, iniziò nel 1881: la popolazione ebraica nella Palestina storica crebbe al ritmo indicato nella tabella seguente:

 

ANNO EBREI % EBREI

S/ TOTALE

ARABI PALESTINESI % PALESTINESI S/ TOTALE TOTALE
(1) 1881 9 817 2,3% 413 729 97,12% 425 966
(2) 1922 83 694 11% 657 560 86,84% 757 182
(3) 1945 554 000 31,4% 1 179 000 66,8% 1 765 000

Fonte: Elaborazione propria con i dati dei tre censimenti. 3

Sebbene il censimento ottomano del 1881 dividesse la Palestina storica in tre regioni, in Europa l’area era ancora conosciuta come Palestina. Così, ad esempio, nel 1865 il Regno Unito istituì il Palestine Exploration Fund.

Uno degli slogan fondanti del sionismo era “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, che fu categoricamente smentito nel 1891 dall’ebreo Ahad Ha’am 4.

2.2. Occupazione del territorio della Palestina storica da parte del Regno Unito e del Mandato britannico dal 1922

Durante la Prima guerra mondiale (WWI, 1914-1918), precisamente nel maggio 1916, Francia e Regno Unito avevano concluso l’accordo segreto Sykes-Picot, con il quale i due Paesi si dividevano il Medio Oriente e, in applicazione del quale, il Regno Unito occupava la regione della Palestina dall’inizio del 1917.

Parallelamente, nel 1915 i britannici avevano raggiunto accordi segreti con Husayn ibn Ali, lo sceriffo della Mecca, e Ibn Saud (accordo Darin) per lanciare una rivolta araba contro l’Impero Ottomano, che ebbe inizio il 5 giugno 1916 e servì in ultima analisi gli interessi britannici.

Una terza via d’azione per il Regno Unito fu quella di negoziare con i sionisti. L’allora ministro degli Esteri britannico Balfour firmò il 2 novembre 1917 una breve lettera al barone Lionel Walter Rothschild, leader della comunità ebraica sionista del Regno Unito, da trasmettere alla Federazione sionista di Gran Bretagna e Irlanda, un testo che richiese diversi mesi di negoziati tra britannici e sionisti e che è noto come Dichiarazione Balfour. Questo breve testo, pubblicato dalla stampa britannica il 9 novembre, contiene tre paragrafi: (1) un primo paragrafo di saluto; (2) un paragrafo centrale in cui il Regno Unito si dichiara favorevole alla creazione di un “focolare nazionale ebraico” nel territorio della Palestina storica; (3) un terzo paragrafo conclusivo.

I sionisti, a loro volta, negoziarono con parte degli arabi (Accordo Faisal-Weizmann del 1919) il riconoscimento di uno Stato ebraico in Palestina.

La Società delle Nazioni [il predecessore internazionale delle Nazioni Unite (ONU), esistito tra il 1919 e il 1946] riconobbe formalmente il Mandato britannico della Palestina il 24 luglio 1922. Grazie al Mandato britannico, la comunità ebraica di Palestina – lo Yichouv – divenne un quasi-stato. Come previsto dall’articolo 4 del mandato, nel 1922 il Regno Unito riconobbe l’Organizzazione sionista come interlocutore ufficiale in tutte le questioni economiche, sociali e di altro tipo che potessero influire sulla creazione del focolare nazionale ebraico, ruolo che fu assunto dall’Agenzia ebraica nel 1929.

Il 23 ottobre 1922, gli inglesi pubblicarono un censimento della Palestina. Dei 757 182 abitanti di questa regione multietnica, secondo la Tabella I, la stragrande maggioranza era costituita da musulmani (590 890, il 78,03% del totale), seguiti da ebrei (83 694, l’11%), cristiani (73 024, il 9,64%) e altre minoranze (9 574, l’1,33%, di cui 7 028 drusi e il resto samaritani, bahai, metawileh (sciiti), induisti e sciiti). La Tabella XXI del Censimento indica l’arabo come lingua madre di 657 560 persone (86,84%), l’ebraico di 80 396, l’inglese di 3 098, l’armeno di 2 970, l’indiano di 2 061, l’yiddish di 1 946, il tedesco di 1 871, il greco di 1 315, il russo di 877 o lo spagnolo di 357.

La popolazione prevalentemente araba della Palestina storica, che per settant’anni – dal 1850 al 1920 – aveva accolto gli ebrei senza violenza, si oppose, a partire dall’inizio degli anni Venti, a questa crescente immigrazione che implicava l’occupazione della loro terra da parte degli ebrei e la loro sottomissione a questi ultimi (gli inglesi, infatti, assegnarono agli ebrei le principali gare d’appalto per i lavori pubblici del Mandato, a partire dall’elettrificazione), Ciò portò a successive e sempre più violente rivolte da parte della popolazione araba locale, che tra il 1922 e il 1936 provocarono 198 morti ebrei e 193 morti arabi 5 (il più violento fu il massacro di Hebron del 1929, in cui furono uccisi 67 ebrei). Tuttavia, in quegli anni l’Ayan (l’intellighenzia di notabili arabi) fece da mediatore in innumerevoli occasioni, salvando molte vite.

Dopo ogni rivolta, gli inglesi condussero commissioni d’inchiesta e produssero Libri Bianchi. Nel Libro Bianco del 1922, l’allora ministro delle Colonie Winston Churchill 6 chiarì che le disposizioni del Mandato non significavano, come ritenevano i rappresentanti sionisti, chel’intera Palestina dovesse diventare un focolare nazionale ebraico, ma che tale focolare dovesse essere fondato in Palestina”.

Il Regno Unito aprì la porta alla legalizzazione delle ondate migratorie ebraiche verso il territorio e la crescita della popolazione ebraica nel territorio della Palestina storica fu, da quel momento in poi e attraverso successive ondate migratorie, esponenziale e inarrestabile. “Tra il 1917 e il 1948, la quota ebraica della popolazione passò dal 12% al 34%. Dal 1932 al 1939 arrivarono 247 000 persone, 30 000 all’anno, quattro volte di più che dopo la fine della prima guerra mondiale, … beneficiando dell’accordo chiamato Haavara raggiunto dall’Organizzazione sionista con Berlino nel 1933”.

I leader palestinesi presentarono un Memorandum nel novembre 1935 in cui si chiedeva “l’immediata sospensione dell’immigrazione, il divieto di vendita di terre agli stranieri e un governo democratico con un parlamento a rappresentanza proporzionale”. Di fronte al rifiuto degli ebrei (per evitare di essere in minoranza) e all’inazione britannica, nell’aprile 1936 fu lanciato in Palestina uno sciopero generale degli arabi, che prevedeva anche il boicottaggio dei prodotti ebraici. Fu istituito l’Alto Comitato Arabo e furono organizzate manifestazioni che divennero sempre più violente.

In seguito a questi scontri, la Commissione Peel emanò il primo Piano di spartizione della Palestina il 7 luglio 1937. Il Regno Unito ottenne il no a questo Piano sia dal partito ebraico dominante all’epoca, il partito sionista-socialista Mapai (il partito che controllò la scena politica fino al 1968), sia dai palestinesi.

Le autorità britanniche misero al bando l’Alto Comitato Arabo nel settembre 1937 e, a partire da quell’autunno, le proteste palestinesi ripresero e durarono fino al 1939. Il Regno Unito mobilitò 50 000 soldati per reprimere la rivolta araba con l’aiuto di 20 000 poliziotti ebrei e 15.000 membri dell’Hagana (la forza difensiva dell’Yishuv), a cui si aggiunsero alcune migliaia di militanti dell’Irgun (l’estrema destra sionista). La rivolta araba del 1936-39 provocò 5 000 morti palestinesi, 500 ebrei e 262 britannici.

In questo contesto, il Regno Unito produsse un nuovo Libro Bianco, il Libro Bianco MacDonald del 17 maggio 1939, che respingeva l’idea di dividere il Mandato in due Stati e sosteneva la necessità di un’unica Palestina indipendente governata congiuntamente da arabi ed ebrei, con i primi che avrebbero mantenuto la loro maggioranza demografica. In attuazione di questo piano, il Regno Unito vietò la creazione dello Stato ebraico e limitò l’immigrazione ebraica in Palestina a 75 000 persone nei 5 anni successivi. Il movimento sionista 7 rifiutò completamente il Piano e nemmeno i palestinesi lo accettarono.

Il movimento sionista riunitosi alla Conferenza di Biltmore a New York nel 1942, negò la validità legale o morale del Piano e, andando oltre la vaga idea di un “focolare nazionale”, sostenne la creazione di un Commonwealth ebraico in Palestina. Il sionismo divenne controllato dalla sua ala più radicale.

A partire dal 1944, l’insurrezione sionista contro i britannici si intensificò, con atti terroristici come quello commesso dal gruppo paramilitare sionista Lehi, che a novembre assassinò il britannico Walter Guinness. Nel tentativo di controllare la situazione, i britannici attuarono l’Operazione Agatha il 29 giugno 1946, che prevedeva l’arresto di gran parte della leadership ebraica dell’Yishuv, il cosiddetto “Sabba Nero”. Per reazione, l’Irgun compì l’attentato del 22 luglio 1946 all’Hotel King David di Gerusalemme, che causò la morte di 91 persone, 28 delle quali britanniche. L’opinione pubblica britannica, che aveva perso 150 militari in Palestina in due anni, esercitò pressioni, accelerando l’uscita del Regno Unito dalla Palestina.

Durante la Seconda guerra mondiale, la Germania nazista e i suoi alleati uccisero in modo istituzionalizzato (noto come Olocausto o, in ebraico, Shoa) tra gli 11 e i 17 milioni di persone:

  • Tra i cinque e i sei milioni erano uomini e donne ebrei, anche se la cifra precisa è difficile da conoscere con totale accuratezza, questa è la stima internazionale più accettata.
  • Circa 220.000 Rom in Europa, su circa un milione di Rom che vivevano in Europa all’epoca.
  • Il resto degli assassinati apparteneva a diversi gruppi: milioni di comunisti polacchi, altri settori della sinistra politica, prigionieri di guerra sovietici, omosessuali e disabili fisici e mentali.

L’Olocausto ha avuto un forte impatto sulla coscienza collettiva dell’Occidente ed è stato determinante per l’accettazione internazionale della causa sionista e per l’accettazione della colonizzazione ebraica della Palestina storica, nonostante sia stata la Germania nazista a perpetrare l’Olocausto e non la popolazione araba palestinese della Palestina.

2.3. Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA) adottò la Risoluzione 181 (II) il 29 novembre 1947 con 33 voti a favore, 13 contrari e 10 astensioni. Questa risoluzione, intitolata “Futuro governo della Palestina”, conteneva un piano per la suddivisione della Palestina con unione economica in due Stati sovrani e indipendenti: uno Stato arabo e uno Stato ebraico; la città di Gerusalemme doveva essere posta sotto l’amministrazione delle Nazioni Unite. Nonostante la popolazione araba fosse all’epoca più del doppio di quella ebraica, il piano assegnava il 52% del territorio al popolo israeliano, mentre il popolo palestinese si accollava il restante 46%, con l’ulteriore difficoltà di non godere della continuità del proprio territorio. Questo portò i palestinesi a rifiutare il piano.

La risoluzione era accompagnata dall’Allegato A, che comprendeva la mappa della spartizione della Palestina riprodotta qui sotto sia nella sua versione originale che in una versione moderna a colori della stessa spartizione; e dall’Allegato B con la mappa dei confini di Gerusalemme, anch’essa riprodotta qui sotto.

   

Dodici giorni prima dell’adozione della Risoluzione 181, il cui capo negoziatore ebraico con i britannici era Golda Meir, Meir aveva raggiunto un accordo con il re Abdullah di Giordania per la spartizione della Palestina, essendo entrambi contrari a uno Stato palestinese entro i confini della Risoluzione 181.

2.4. Dichiarazione unilaterale di Israele

Dopo l’approvazione della Risoluzione 181 II dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel gennaio 1948 Golda Meir si recò negli Stati Uniti per raccogliere fondi, poiché la leadership sionista riteneva che la guerra fosse inevitabile. Meir raccolse donazioni negli Stati Uniti per acquistare armi per 50 milioni di dollari per l’Haganah, armi che furono fondamentali per rafforzare la strategia militare sionista definita nel Piano Dalet del 10 marzo 1948, la cui prima operazione fu Nachshon, nell’aprile 1948, per rimuovere il blocco di Gerusalemme condotto dalle truppe guidate da Abd Al-Qadir Al Husseini, nipote del Muftì di Gerusalemme. Il 2 aprile, l’Haganah si impadronì del villaggio palestinese di Al-Qastal (il primo villaggio arabo ad essere sequestrato e demolito dai sionisti) e i Paesi arabi rifiutarono il sostegno militare ad Al Husseini per riconquistarlo. In quelle settimane si consumò anche il massacro di Deir Yassin, durante il quale i paramilitari sionisti dell’Irgun e del Lehi uccisero 120 civili palestinesi (il primo massacro di molti).

Infine, il 14 maggio 1948 ebbe luogo la dichiarazione unilaterale di indipendenza dello Stato di Israele. Tuttavia, gli esperti di diritto internazionale 8 sostengono che Israele fu istituito senza legittimità sul territorio. Nonostante ciò, e soprattutto in reazione all’Olocausto nazista, Israele fu infine ammesso alle Nazioni Unite nel 1949.

3. Le sei guerre arabo-israeliane

La prima guerra arabo-israeliana (1948-1949) 9 fu lanciata all’indomani della Dichiarazione di indipendenza da cinque Stati arabi insoddisfatti della dichiarazione unilaterale (Egitto, Libano, Iraq, Giordania e Siria) e comportò l’espulsione di 750 000 palestinesi da parte delle truppe israeliane. 750.000 palestinesi da parte delle truppe israeliane, la cosiddetta Nakba o catastrofe; la distruzione sistematica di 531 villaggi palestinesi e di 11 città palestinesi, che furono svuotate dei loro abitanti; la confisca di centinaia di migliaia di ettari di terra; l’annessione da parte di Israele del 26% delle terre assegnate agli arabi palestinesi dalla Risoluzione 181 (II), occupando il 77% del territorio del Mandato. La Cisgiordania passò sotto il controllo giordano e Gaza sotto quello egiziano. Ci furono 13.000 vittime civili palestinesi; tra i 10 000 e i 15 000 morti arabi in combattimento e 6 373 vittime israeliane (4 000 soldati e 2 373 civili).

In contrasto con la tradizionale visione israeliana secondo cui i palestinesi sarebbero fuggiti su sollecitazione degli eserciti arabi, i nuovi storici israeliani  10, dopo aver studiato il materiale parzialmente declassificato negli anni ’80 (sebbene Morris abbia richiesto una declassificazione più ampia che è stata negata dalla Corte Suprema israeliana nel 1986), sostengono che la popolazione palestinese è stata cacciata dai propri villaggi e che i villaggi sono stati rasi al suolo e cancellati dalla mappa dalle truppe israeliane.

Il 17 settembre 1948, lo svedese Folke Bernadotte, primo mediatore nella storia dell’ONU, fu assassinato a Gerusalemme da Yeshua Cohen, un terrorista sionista israeliano appartenente al Lehi, in un assassinio pianificato da quattro uomini, uno dei quali Yitzak Yezernitsky, il futuro primo ministro di Israele, Yitzhak Shamir, proprio il giorno dopo che Bernadotte aveva terminato di redigere la sua proposta di divisione in due Stati con uno status speciale per Gerusalemme; e consegnò un rapporto sulla distruzione dei villaggi.

L’11 dicembre 1948, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la risoluzione 194 (III), che sancisce il diritto dei rifugiati palestinesi a tornare alle loro case e a essere risarciti per le perdite subite.

Nel 1949, le Nazioni Unite fecero un primo tentativo di conferenza di pace, la Conferenza di Losanna, che non ebbe successo.

Il 22 settembre la Lega Araba istituì il “Governo di tutta la Palestina”, che ebbe effetto solo a Gaza, sotto il controllo egiziano, mentre la Giordania annesse la Cisgiordania alla Conferenza di Gerico del 1° dicembre.

In seguito all’attacco di Israele alle truppe egiziane di stanza a Gaza, il presidente egiziano Nasser decretò la chiusura dello Stretto di Tiran alle navi e agli aerei provenienti o diretti in Israele. Da parte sua, Israele, con il sostegno del Regno Unito e della Francia, lanciò un attacco congiunto all’Egitto in quella che fu chiamata la Guerra di Suez del 1956, con la quale Israele occupò la penisola del Sinai. Si trattò di una guerra di scelta  11, progettata per raggiungere obiettivi nazionali. Ci furono tra i 1 650 e i 3 000 morti arabi in combattimento, 172 israeliani, 16 britannici e 10 francesi.

Il riavvicinamento franco-israeliano portò anche allo sviluppo dell’energia nucleare israeliana, che si concretizzò nel 1958 con la creazione della centrale nucleare di Dimona. Da allora, il programma nucleare israeliano è rimasto al di fuori della legalità internazionale, come hanno criticato sia le organizzazioni internazionali che gli esperti israeliani.

In questo contesto, i palestinesi iniziarono a organizzarsi in diverse associazioni per resistere. La più importante fu l‘OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), fondata nel maggio 1964 a Gerusalemme con il sostegno della Lega Araba e per volere del presidente egiziano Nasser, come organizzazione palestinese unificata.

Nel 1967 l’Egitto mobilitò i soldati nel Sinai, mettendo nuovamente in pericolo la partenza delle navi israeliane verso il Mar Rosso. Il 5 giugno 1967, di fronte al rifiuto dell’Egitto di sbloccare il Golfo di Aqaba, Israele bombardò gli aerei egiziani nella penisola del Sinai, dando così inizio alla Guerra dei Sei Giorni. Nei sei giorni di guerra, Israele conquistò la Striscia di Gaza, la Cisgiordania, Gerusalemme Est, la Penisola del Sinai e le Alture del Golan (Siria). La guerra provocò una seconda ondata di 300 000-400 000 rifugiati palestinesi, i Naksa, quasi un terzo dei quali divenne rifugiato per la seconda volta. La maggior parte andò in esilio in Libano, Giordania, Siria e negli Stati del Golfo Persico. Ci furono tra gli 11 510 e i 18 214 morti arabi e 777 israeliani in combattimento.

I Paesi arabi riuniti a Khartoum (Sudan) nel settembre 1967 concordarono una risoluzione il cui articolo 3 conteneva la dottrina dei 3 No: nessun negoziato, nessun riconoscimento e nessuna pace con Israele.

Il 22 novembre 1967 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) adottò all’unanimità la risoluzione 242, che sancisce il principio “pace in cambio di territorio”, ovvero che Israele otterrà la pace quando restituirà il territorio occupato militarmente con la forza durante la Guerra dei Sei Giorni.

Tra il 1967 e il 1973 è stata condotta la cosiddetta “guerra di logoramento“. Israele ha mantenuto l’occupazione militare di tutti i territori conquistati nel 1967, sottoponendo la popolazione palestinese alla legge marziale e incoraggiando l’insediamento ebraico nei territori occupati, in chiara violazione della Quarta Convenzione di Ginevra, il cui articolo 49 vieta il trasferimento di civili dalla potenza occupante al territorio occupato. Per quanto riguarda Gerusalemme Est, Israele ha annesso questa parte della città alla fine della guerra del 1967 e ha iniziato a demolire i quartieri palestinesi e a costruire al loro posto quartieri ebraici.

Nel settembre 1970, in Giordania si svolse il “settembre nero”, una guerra a bassa intensità tra l’OLP e il regime giordano di Hussein, che è considerata l’inizio dell’espulsione dell’OLP dalla Giordania.

Parallelamente, in questi anni, l’OLP intensificò gli attacchi contro gli interessi israeliani dentro e fuori Israele, come ad esempio: il dirottamento palestinese dell’aereo di linea Sabena (8/05/1972); il massacro dell’Armata Rossa giapponese, guidata dal repubblicano giapponese filo-palestinese Fusako Shigenobu, all’aeroporto di Lod, con 26 morti israeliani (30/05/1972); e il massacro di Monaco di Baviera, con 11 morti israeliani, undici atleti che partecipavano ai Giochi Olimpici di Monaco, in Germania (5 e 6/09/1972).

L’allora Primo Ministro Golda Meir rifiutò di negoziare il rilascio dei prigionieri palestinesi in cambio degli atleti israeliani, che purtroppo finirono uccisi, e ordinò ai servizi segreti israeliani di colpire tutti i capibanda palestinesi con l’operazione “Ira di Dio”.

Tra il 1970 e il 1973, la politica estera di Golda Meir permise l’emigrazione russa e sovietica di ebrei dall’ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) in Israele attraverso l’Austria, stimata in 200.000 persone. Il 28/09/1973 sette di questi emigranti ebrei furono presi in ostaggio in Austria da arabi siriani che chiedevano la chiusura del Centro di transito ebraico e un passaggio sicuro verso un Paese arabo. A Vienna, l’allora primo ministro israeliano Golda Meir cercò di convincere l’allora cancelliere austriaco Bruno Kreisky, anch’egli ebreo, a non cedere al “ricatto terroristico”, ma Kreisky riuscì a superare le pressioni israeliane e a salvare sette vite, a differenza di quanto era accaduto a Monaco l’anno precedente.

La Guerra dello Yom Kippur, Guerra del Ramadan o Guerra d’Ottobre fu un conflitto armato tra Israele e i Paesi arabi dell’Egitto e della Siria, che sferrarono il loro attacco per riconquistare i territori occupati da Israele dopo la guerra del 1967 il 6 ottobre 1973, giorno della festività ebraica dello Yom Kippur. L’esercito egiziano attraversò il Canale di Suez, superando rapidamente le difese israeliane. Contemporaneamente, le forze siriane avanzarono sulle alture del Golan. Dopo aver riconquistato la Penisola del Sinai, il presidente egiziano Sadat decise di fermare il fronte egiziano, permettendo a Israele di concentrare tutte le sue forze sul fronte settentrionale, invase la Siria e minacciò la capitale Damasco; allo stesso tempo, Israele avanzò nella controffensiva del Sinai, respingendo gli egiziani oltre i loro confini e attraverso il Canale di Suez. Ci furono tra gli 8 000 e i 18 500 morti arabi in combattimento e tra le 2 521 e le 2 800 vittime israeliane.

I Paesi arabi, di fronte a questa realtà, decisero di lanciare una guerra economica e misero sotto embargo il petrolio dei Paesi che stavano aiutando Israele, riducendo allo stesso tempo le vendite nel tentativo di far salire i prezzi. L’effetto, passato alla storia come la crisi petrolifera del 1973, fu quello di destabilizzare l’economia internazionale, esercitando pressioni su Stati Uniti e URSS affinché raggiungessero un accordo attraverso le Nazioni Unite che sfociò nella risoluzione 338 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 22 ottobre 1973, che permise di raggiungere un cessate il fuoco il 25 novembre e raccomanda l’avvio di negoziati per “realizzare una pace giusta e duratura in Medio Oriente”. L’Egitto iniziò ad allontanarsi dalle tesi sovietiche per avvicinarsi agli Stati Uniti, mentre la Siria mantenne le sue posizioni legate all’URSS.

Il 21 dicembre 1973 si tenne la Conferenza di Ginevra organizzata dall’ONU per mediare la pace, ma anch’essa fallì.

L’11 novembre 1974, Yasser Arafat, in qualità di leader dell’OLP, si rivolge all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York con un discorso in cui spiega le origini storiche del conflitto e si propone di negoziare una pace giusta.

L’accresciuto senso di vulnerabilità causato dall’offensiva egiziano-siriana spinse Israele ad avviare negoziati di pace unilaterali con l’Egitto e il 17 settembre 1978 il Presidente egiziano Sadat e il Primo Ministro israeliano Begin firmarono gli Accordi di pace di Camp David alla presenza del Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter. Questo accordo segnò il primo trattato di pace di Israele con un Paese arabo e l’applicazione, per la prima volta nella storia di Israele, della dottrina “terra in cambio di pace” stabilita dalla Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Israele dovette restituire il territorio conquistato nel 1967, compreso lo smantellamento di diversi insediamenti a nord della penisola del Sinai. L’Egitto fu percepito come un traditore della causa araba; il suo presidente Sadat fu assassinato nel 1981 e il Paese fu sospeso dalla Lega Araba fino alla sua riammissione nel 1989.

Dopo il Settembre Nero 1970, migliaia di guerriglieri palestinesi furono espulsi dalla Giordania e l’OLP decise di creare basi in Libano. Nel 1978 le Nazioni Unite dispiegarono una forza di interposizione (UNIFIL) nell’area, ma le tensioni continuarono.

Nel giugno 1982 Israele invase il Libano con l’operazione “Pace per la Galilea”, appoggiandosi ai cristiano-maroniti. Con la mediazione degli Stati Uniti, i combattenti palestinesi furono evacuati e la leadership dell’OLP fu stabilita a Tunisi. L’assassinio del presidente cristiano-maronita Gemayel da parte di un agente siriano provocò l’ingresso delle Falangi libanesi sostenute da Israele nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila, portando al “Massacro di Shabra e Shatila“, che causò circa 6 000 morti palestinesi e può essere considerato parte della lunga guerra civile libanese (1975-1990).

Israele ha bombardato la sede dell’OLP a Tunisi nell’ottobre 1985, con gravi critiche da parte delle Nazioni Unite (risoluzione 573 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU).

4. La prima intifada palestinese e la speranza di pace con gli Accordi di Oslo del 1993 e gli Accordi di Taba del 1995

Nel dicembre 1987 ebbe inizio quella che venne chiamata la Prima Intifada, un movimento popolare palestinese nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est contro le forze di occupazione israeliane con l’obiettivo di porre fine all’occupazione, anche se l’innesco diretto fu l’uccisione di quattro lavoratori a Jabalia (Gaza) quando il loro veicolo fu speronato da un camion militare israeliano. In quel periodo il chierico Ahmed Yassin creò Hamas, un movimento islamista sunnita affiliato ai Fratelli Musulmani, che Israele incoraggiò agli inizi per alimentare la rivalità con l’OLP guidata da Yasser Arafat.

La Prima Intifada è durata fino al 1993 e ha provocato, secondo le stime, 1 374 morti palestinesi e 93 israeliani.

Il 15 novembre 1988 fu proclamata ad Algeri la Dichiarazione d’indipendenza palestinese unilaterale, precedentemente approvata dal Consiglio nazionale palestinese (PNC), l’organo legislativo dell’OLP. Essa incoraggiò il riconoscimento della Palestina da parte di diversi Stati dell’ONU.

Tra il 30 ottobre e il 1° novembre 1991, la Conferenza di pace di Madrid riunì le delegazioni di Israele, Siria, Libano, Egitto e una delegazione giordano-palestinese, sponsorizzata dagli Stati Uniti e dall’URSS, seguita da dieci cicli di negoziati a Washington. I cicli di trattative non andarono a buon fine: (1) nella prima fase, quando il principale negoziatore israeliano era Shamir, “perché il suo impegno ideologico per il Grande Israele lasciava poco spazio al compromesso”; e (2) nella seconda fase, quando la squadra statunitense cambiò dopo le elezioni, poiché Clinton sostenne di nuovo unilateralmente le tesi israeliane e non fu più in grado di agire come un onesto mediatore 12.

Parallelamente, si sono svolti colloqui di pace segreti diretti tra Israele e l’OLP, sotto gli auspici norvegesi, che hanno portato agli Accordi di Oslo, un primo tra Israele e l’OLP il 13/09/1993, firmato a Washington, e un secondo, siglato a Taba il 24/09/1995 e firmato a Washington il 28/09/1995. Questi accordi istituivano l’Autorità nazionale palestinese (Anp), che sarebbe stata responsabile della gestione di varie politiche pubbliche a Gaza e in Cisgiordania, divisa nelle aree A, B e C; Israele manteneva la politica estera, la difesa e le frontiere; e venivano concessi cinque anni per negoziare un accordo permanente che avrebbe affrontato questioni come lo status di Gerusalemme, i rifugiati palestinesi e gli insediamenti israeliani.
Nonostante ciò, e secondo quanto dichiarato dall’allora Primo Ministro Peres al Consiglio dei Ministri del 13 agosto 1995, l’accordo di Taba permise a Israele di “mantenere in mani israeliane il 73% della terra palestinese in Cisgiordania, il 97% della sua sicurezza e l’80% delle sue risorse idriche” 13.

Il 26 ottobre 1994 Israele e Giordania hanno firmato un accordo di pace che ha normalizzato le relazioni e posto fine alle dispute territoriali.

Tuttavia, proprio quando la pace sembrava iniziare a penetrare – e i suoi architetti vinsero il Premio Nobel per la Pace nel 1994 – si verificò, prima, nel febbraio 1994, il massacro di Hebron, in cui un israelo-americano uccise 29 palestinesi, e in seguito al quale iniziarono gli attentati suicidi palestinesi; e, il 4 novembre 1995, l’assassinio dell’allora Primo Ministro laburista israeliano Issac Rabin da parte di un estremista sionista religioso/terrorista israeliano 14

5. La radicalizzazione della politica israeliana, la Seconda Intifada e l’ombra della pace

Nel 1996, in Israele, il partito Likud (destra sionista) salì al potere sotto la guida di Benjamin Netanyahu, che spinse nuovamente per la creazione e l’espansione degli insediamenti ebraici in territorio palestinese.

Contemporaneamente, nel 1996, si tennero le prime elezioni presidenziali e parlamentari palestinesi: Arafat vinse le prime con l’88% dei voti e il suo partito Fatah ottenne 55 degli 88 seggi nelle seconde.

Nel 1999, i laburisti tornarono a vincere in Israele con Ehud Barak e ripresero i negoziati di pace: i negoziati di Camp David, sponsorizzati dagli Stati Uniti, nel luglio 2000 e i negoziati del gennaio 2001 tra Israele e l’ANP a Taba (Egitto) per affrontare le questioni in sospeso, anche se non fu raggiunto alcun accordo a causa della vicinanza delle elezioni parlamentari in Israele.

Il 29 settembre 2000, l’allora candidato del Likud Ariel Sharon visitò la Moschea di Al-Aqsa di Gerusalemme, il terzo luogo sacro dell’Islam, in un gesto di sfida che, unito all’enorme frustrazione per la mancanza di progressi tangibili per la causa palestinese, scatenò la Seconda Intifada. Essa è durata fino al 2005 e ha provocato, secondo le stime, 3 368 morti palestinesi e 1 008 israeliani.

La risoluzione 1397 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 12 marzo 2002 sostiene la Palestina come Stato che vive fianco a fianco con Israele “con confini riconosciuti e sicuri”; chiede la fine della violenza e il ritorno ai negoziati di pace.

L’Iniziativa di pace araba, adottata dal vertice della Lega araba a Beirut il 27 marzo 2002, si propone di gettare le basi per la pace.

Gli Stati Uniti, l’Unione Europea, la Russia e le Nazioni Unite hanno istituito a Madrid nell’aprile 2002 il cosiddetto Quartetto di Madrid, con uffici a Gerusalemme Est, per cercare di affrontare la spirale di violenza e rimettere in moto il processo di pace. Il 30 aprile 2003 il Quartetto ha presentato una Roadmap per la pace in tre fasi, che prevedeva la creazione di uno Stato palestinese sovrano e indipendente entro il 2005, approvata da Israele, dall’ANP e dagli Stati Uniti, nonché dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con la risoluzione 1515 del 19/11/2003.

6. La preparazione dell’endgame per Gaza e la fine del sogno di uno Stato palestinese

Sharon è entrato in carica come primo ministro israeliano nel marzo 2001 e, durante il suo mandato, da un lato ha avviato la costruzione del muro che separa Israele dalla Cisgiordania e che è stato dichiarato contrario al diritto internazionale e illegale dalla Corte internazionale di giustizia (CIG) il 9/07/2004 15 e, dall’altro, nell’agosto 2005 ha effettuato un ritiro unilaterale da Gaza e ha smantellato 21 insediamenti israeliani a Gaza, anche se Israele ha continuato a controllare 6 dei 7 valichi di frontiera di Gaza (il rimanente, Rafah, è teoricamente controllato dall’Egitto, anche se in pratica Israele esercita il controllo finale), così come il suo spazio aereo e marittimo e i suoi servizi pubblici (acqua, elettricità, telecomunicazioni, ecc.).

Nel gennaio 2006 si sono tenute per la seconda volta le elezioni palestinesi: Mahmoud Abbas di Fatah ha vinto le elezioni presidenziali con il 62% dei voti; Cambiamento e Riforma (Hamas) ha vinto le elezioni legislative con 72 seggi su 132. Ismail Haniya di Hamas è stato nominato primo ministro palestinese nel marzo 2006. La reazione di Israele è stata quella di tagliare i trasferimenti finanziari all’ANP e di fare pressione sul Quartetto per esercitare pressioni su Abbas, che alla fine ha sciolto il governo palestinese di Haniya nel maggio 2007. Tuttavia, se si leggono le dichiarazioni di Haniya, egli non chiede “la distruzione di Israele”, ma che Israele riconosca uno Stato palestinese e i diritti del suo popolo, e ritiene che finché l’occupazione israeliana continua, la resistenza palestinese sia legittima. Dal 2006 non ci sono state elezioni parlamentari in Palestina; l’ANP ha gestito la Cisgiordania e Hamas Gaza, dopo che sia Israele che l’Egitto hanno imposto il blocco di Gaza. Tutti i successivi tentativi di riunificare i politici palestinesi (2017 Cairo o 2022 Algeri) sono falliti.

Una volta che Gaza è stata liberata dai coloni ebrei e la classe politica palestinese è stata divisa, Israele ha iniziato a concentrare le sue operazioni a Gaza.

Durante l’Operazione Piombo Fuso, Israele ha iniziato a bombardare le posizioni di Hamas a Gaza, seguito da un’offensiva terrestre, marittima e aerea tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009 che ha ucciso 1 300 palestinesi e 11 israeliani.

Tra il 14 e il 21 novembre 2012, Israele ha lanciato l’Operazione Pilastro di Difesa contro Gaza, uccidendo 162 palestinesi, tra cui il leader di Hamas Ahmed Jabari.

Dall’8 luglio al 26 agosto 2014, Israele ha lanciato l’Operazione Mighty Cliff su Gaza, uccidendo circa 2 200 palestinesi e 73 israeliani.

La Grande Marcia del Ritorno a Gaza, che sosteneva il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi, ha contrapposto i gazesi a Israele tra il 2018 e il 2019 e ha causato la morte di circa 312 palestinesi.

Tra il 6 e il 21 maggio 2021, si è verificato un nuovo conflitto in seguito al lancio di razzi da Gaza in risposta allo sgombero di famiglie palestinesi da Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est e ai successivi attacchi israeliani che hanno causato 253 morti palestinesi e 13 israeliani.

Sommando i dati di cui sopra, tra il 2008 e il 2021, ci sono stati 4 200 morti civili palestinesi a Gaza.

Al 7 ottobre 2023, è in corso la sesta guerra a Gaza dal ritiro unilaterale di Israele dalla Striscia nel 2005. Questo conflitto è trattato in un documento separato su questo sito.

Parallelamente, Israele attua regolarmente, soprattutto in Cisgiordania e a Gerusalemme Est:

  1. Restrizioni di movimento e confinamento forzato delle abitazioni;
  2. Demolizioni di case (5 598 tra il 2006 e il settembre 2023);
  3. Detenzioni amministrative arbitrarie (1 310 nel settembre 2023);
  4. Detenzioni di sicurezza (4 764 nel settembre 2023), tutti quantificati dall’ONG israeliana per i diritti umani Btselem.
  5. Inoltre, quantifica il numero di palestinesi uccisi da Israele come vittime di esecuzioni extragiudiziali. Così, la stessa ONG ha quantificato in 10 672 il numero di palestinesi uccisi da israeliani, sia dalle autorità ufficiali israeliane che dai coloni, tra il 2000 e il settembre 2023 (rispetto ai 1 330 israeliani uccisi da palestinesi).

Inoltre, la violazione dei diritti umani della popolazione palestinese da parte di Israele è stata riportata in successivi rapporti delle Nazioni Unite 16

Da parte sua, la comunità internazionale ha continuato ad appoggiare proposte di pace che non si sono concretizzate, consentendo l’impunità di Israele.

La Conferenza di Annapolis, promossa dagli Stati Uniti nel novembre 2007, ha fissato la fine del 2008 come termine ultimo per un accordo definitivo su tutte le questioni in sospeso relative allo status permanente.

Il Presidente degli Stati Uniti Obama ha tentato di rilanciare i colloqui di pace incontrando separatamente il Primo Ministro Netanyahu e il Presidente Abbas nel marzo 2014, ma non sono stati fatti progressi.

La risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 23 dicembre 2016 sostiene la soluzione dei due Stati e osserva che “la creazione di insediamenti da parte di Israele nel territorio palestinese occupato dal 1967, compresa Gerusalemme Est, non ha alcuna validità legale”.

Il Presidente degli Stati Uniti Trump ha sostenuto la firma nel 2020 di accordi di pace tra Israele e diversi Paesi arabi, noti come Accordi di Abraham, tra cui con gli Emirati Arabi Uniti (EAU) il 13 agosto, con il Bahrein il 15 settembre, con il Sudan il 23 ottobre e con il Marocco il 10 dicembre.

Nel settembre 2022 la Commissione d’inchiesta indipendente sui Territori occupati ha pubblicato un rapporto che descrive dettagliatamente la situazione dell’occupazione. Il 30 dicembre 2022 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione A/77/247, che al punto 18 chiede alla Corte internazionale di giustizia un parere sulle conseguenze legali dell’occupazione, ossia sull’illegalità dell’occupazione israeliana e sull’obbligo di ritirarsi. Il parere della CIG è previsto per la seconda metà del 2024.

7. Breve riassunto storico in termini di territorio, popolazione e ideologia

Questa “Breve cronologia” fornisce una serie di fili conduttori che ci permettono di riassumere ciò che è accaduto nella terra della Palestina storica dall’avvento del sionismo politico nel 1900 in termini di:

7.1 Territorio

Dei circa 26.300 km² della Palestina storica, il piano di spartizione del 1947 ha assegnato il 46% agli arabi e il 52% agli ebrei. Tuttavia, Israele ha aumentato il territorio in suo possesso in vari modi:

  1. Acquisti di terra: intensi dal 1881 al 1948. Tuttavia, nel 1948 solo il 6% del territorio della Palestina storica era in mano agli ebrei.
  2. Distruzione di 500 villaggi palestinesi durante la Nakba del 1946-49, appropriazione di questi territori e cancellazione dell’identità palestinese da questi luoghi.
  3. Annessione del territorio con guerre successive, con l’annessione del 26% della terra palestinese nel 1948 e l’esercizio di un potere di occupazione sull’intero territorio palestinese dal 1967, un’occupazione illegale.
  4. Annessione del territorio da parte degli insediamenti sionisti sulla terra palestinese occupata, costruiti a partire dal 1967. Questi insediamenti e le infrastrutture che li servono danno a Israele e ai coloni israeliani il controllo diretto del 40% della Cisgiordania e del 63% dell’Area C della Cisgiordania, secondo l’ONG israeliana per i diritti umani Btselem. Israele ha aumentato il numero di coloni in Cisgiordania, esclusa Gerusalemme, da 800 nel 1973 a 111 600 nel 1993, a 234 000 nel 2004 e a 468 300 nel 2022; il numero di coloni a Gerusalemme Est è aumentato da 124 000 nel 1992 a 236 200 nel 2021. Nonostante questa continua espansione, gli insediamenti sono illegali secondo l’art. 49 della Quarta Convenzione di Ginevra del 1949 e la Risoluzione 2234 del 2016 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, come anche l’UE ha monitorato e denunciato.

La continua occupazione del territorio palestinese da parte di Israele significa che la terra disponibile per il futuro Stato palestinese si sta riducendo.

7.2. La popolazione

In termini di popolazione, occorre sottolineare quanto segue:

  1. Aumento esponenziale della popolazione ebraica da 9 817 nel 1881 a 6 982 000 nel 2021. Questo forte aumento della popolazione ebraica è dovuto a due ragioni: (a) da un lato, le ondate migratorie incoraggiate dal sionismo politico e stimolate dal Regno Unito dopo l’occupazione della Palestina nel 1917; e (b) dall’altro, l’alto tasso di natalità delle donne ebree ultraortodosse (Haredi), che si aggira intorno al 4%, portando la popolazione Haredi di Israele a 750 000 nel 2009, a 1 280 000 nel 2022 e una stima di due milioni nel 2033.
  2. La popolazione araba palestinese, che nel censimento britannico del 1922 era di 657 560 persone, l’86,84% del totale, oggi è di 7 478 450 persone, residenti in Palestina e in Israele.
  3. Per qualsiasi accordo di pace definitivo, è essenziale tenere conto della popolazione palestinese espulsa prima (250 000) e durante (750 000) il 1948, e nel 1967 (350 000) e dei loro discendenti, una popolazione che l’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente) stima in 5,9 milioni di rifugiati.
  4. Il conflitto ha avuto un costo altissimo in termini di vite umane, soprattutto per la popolazione palestinese. Secondo i miei calcoli 17, 79 338 arabo-palestinesi e 12 159 ebrei-israeliani sono morti tra l’inizio del conflitto all’inizio del XX secolo e il settembre 2023, per un totale di 91 497 esseri umani.

7.3. L’ideologia: sionismo

L’ideologia che ha guidato la creazione e lo sviluppo di Israele è il sionismo. Il sionismo ha cercato fin dall’inizio, come aveva avvertito Churchill nel suo Libro Bianco del 1922, la creazione dello Stato ebraico sull’intero territorio della Palestina storica, cioè il Grande Israele, quello che io chiamo “l’obiettivo finale del sionismo”.

Per articolare questo obiettivo, che è incompatibile con uno Stato palestinese, il sionismo, sia laico che religioso, ha fatto ricorso alla violenza per far deragliare le successive strategie politiche per una statualità condivisa:

  1. La strategia dello Stato binazionale sostenuta dal Regno Unito nel 1939 con il Piano MacDonald, a cui il sionismo laico si oppose fin dall’inizio e che portò il sionismo a ricorrere al terrorismo per cacciare gli inglesi da lì (assassinio di Guinness nel 1944 e attentato all’Hotel King David nel 1946).
  2. La strategia dell’ONU per l’internazionalizzazione di Gerusalemme provocò un nuovo assassinio da parte dei sionisti laici, quello del primo mediatore della storia dell’ONU, lo svedese Bernadotte, nel 1948, all’indomani della presentazione del suo Piano che prevedeva uno status speciale per Gerusalemme.
  3. La strategia dei due Stati (accordi di Oslo del 1993 e di Taba del 1995) è stata fermata da un nuovo assassinio sionista, questa volta religioso, nel 1995, quello del Primo Ministro israeliano Yitzhak Rabin, che li aveva firmati.

Allo stesso modo, il sionismo è riuscito ad articolare una politica di impunità nei confronti di Israele, che nel binomio occupante-occupato detiene la posizione di forza politica, economica, militare e informativa, e che è stata sostenuta da elementi quali:

  1. Il sistematico mancato rispetto della legislazione internazionale emanata dalle Nazioni Unite, che impone a Israele di porre fine all’occupazione, di smantellare il muro, di fermare gli insediamenti o di rispettare i diritti umani della popolazione palestinese, per il quale ha contato sull’incondizionata iperprotezione politico-militare degli Stati Uniti e sul loro sostegno economico (77 miliardi di dollari tra il 1948 e il 1992, e tra i 3 e i 4 mila all’anno da allora, vale a dire circa 180 miliardi di dollari).
  2. Lo sfruttamento egoistico del tremendo effetto che l’Olocausto ha avuto sulla coscienza collettiva dell’Occidente per paralizzare una parte significativa degli attori internazionali, anche all’interno dell’UE.
  3. La confusione intenzionale della critica alla razza ebraica (nota come antisemitismo ed equivalente a un tipo di razzismo punibile nella maggior parte delle legislazioni nazionali) con la critica al sionismo (nota come antisionismo ed equivalente a una critica di un’ideologia politica e quindi consentita nella maggior parte delle legislazioni nazionali). Su questa base, riescono a screditare, mettere all’angolo e, infine, a mettere a tacere qualsiasi critica. Criticare la violazione dei diritti umani da parte di Israele o la sua riluttanza a contribuire alla creazione di uno Stato palestinese sovrano e vitale non è antisemitismo, è antisionismo ed è legittimo. Ci sono molti ebrei che criticano il sionismo, ebrei che ovviamente non sono antisemiti.
  4. Un uso intelligente del concetto di terrorismo per addossarlo alla popolazione occupata e ai suoi leader, dimenticando intenzionalmente che la causa palestinese è una causa di decolonizzazione in sospeso secondo il “Quarto Comitato: Special Political and Decolonisation Committee” che segue la questione palestinese; e che la risoluzione 37/43 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 3 dicembre 1982, al punto 2, riafferma “la legittimità della lotta dei popoli per l’indipendenza e… la liberazione… dall’occupazione… con tutti i mezzi a loro disposizione, compresa la lotta armata”.
  5. Una gestione ancora più abile delle lobby o dei gruppi di pressione sionisti nel mondo, come la potentissima AIPAC americana; e, attraverso queste lobby, un’abile strategia di posizionamento nei circoli di potere a livello nazionale e internazionale, sia politico che economico, finanziario e mediatico. In particolare, a titolo esemplificativo, negli Stati Uniti, nonostante gli ebrei rappresentino solo il 2% della popolazione, l’amministrazione del Presidente Biden vede la presenza di ebrei in molti dei suoi posti chiave, come il Segretario di Stato (Blinken), il Segretario al Tesoro (Yellen), il Segretario agli Interni (Mayorkas), il Procuratore Generale (Garland), il Direttore dell’Intelligence Nazionale (Haines), il Capo dello Staff della Casa Bianca (Klain) e il Vice Direttore della Central Intelligence Agency (Cohen).
Note a piè di pagina
  1. Il concetto di semitico era originariamente un concetto linguistico che si riferiva a lingue che avevano un’origine comune (ebraico, arabo, aramaico, ecc.). Nel XIX secolo, questo concetto ha assunto un significato razziale ed è stato identificato con la razza ebraica, per cui il termine antisemita è oggi applicato al fatto di essere contro gli ebrei, anche se, a rigore, sarebbe contro qualsiasi semita, compresi gli arabi.[]
  2. Gli ebrei furono espulsi dalla penisola iberica (l’area che in ebraico era chiamata “Sepharad”) nel 1492 da Castiglia e Aragona, nel 1496 dal Portogallo e nel 1498 dalla Navarra.  Gli ebrei espulsi dalla Penisola Iberica hanno successivamente ricevuto il nome di sefarditi; continuano a parlare il ladino (una variante del castigliano antico) e nel 2015 il parlamento spagnolo ha approvato una legge che riconosce come spagnoli i discendenti diretti degli ebrei sefarditi espulsi tra il 1492 e il 1498. Gli ebrei che non furono espulsi furono costretti a convertirsi al cristianesimo.

    Tuttavia, gli ebrei non furono gli unici: anche i musulmani furono espulsi dalla penisola iberica cristiana. Così, nel 1502 fu ordinata l’espulsione di tutti i musulmani adulti dalla Castiglia e nel 1527 tutti i musulmani dell’Aragona furono costretti a convertirsi (a quel punto l’Islam cessò ufficialmente di esistere nella neonata Spagna), ma, poiché ciò non era sufficiente a sradicare l’Islam, nel 1609 l’allora re di Spagna e Portogallo, Filippo III, espulse 300.000 Moriscos (musulmani battezzati a forza nel cattolicesimo, ma che praticavano ancora l’Islam). In Spagna o in Portogallo non esiste ancora una legge che riconosca come spagnoli e/o portoghesi i discendenti diretti dei musulmani e/o dei moriscos espulsi tra il 1502 e il 1609. Ciò potrebbe essere dovuto a una minore capacità di lobbying dei lobi musulmani rispetto ai lobi ebrei, intendendo per lobi “un gruppo o un’organizzazione che si dedica a influenzare i politici o le autorità pubbliche a favore di determinati interessi”? Forse…[]

  3. Fonti:

    (1) Il censimento ottomano del 1881-1882 registrò, nei tre distretti che all’epoca costituivano la Palestina storica (Akka, Belka e Kudus), una popolazione totale di 425 966 abitanti, di cui gli arabi palestinesi sarebbero 413 729 (371 969 musulmani e 41 760 cristiani) e 9 817 ebrei secondo le informazioni disponibili nel libro di Kemal Kerpat “Ottoman population 1830-1914 demographic and social characteristics“, University of Wisconsin Press, 1985. Ho compilato una tabella con le corrispondenze tra questi tre distretti ottomani e gli attuali Palestina e Israele: Carte complementari al censimento 1881. Ho anche estratto dal libro di Kerpat tutti i dati relativi alla popolazione della Palestina storica nel 1881 distribuita per religione e potete scaricarli qui: Censimento ottomano 1881.

    (2) Per il censimento britannico del 1922, si veda: https://ia804709.us.archive.org/3/items/PalestineCensus1922/Palestine%20Census%20(1922).pdf. In particolare le fondamentali Tabelle I e XXI (pagg. 8 e 59) del censimento stesso possono essere consultate qui, anche se questo originale è disponibile solo in inglese: 1922 Palestine British Census pags 1-8 & 59.

    (3) Le “statistiche dei villaggi” britanniche del 1945 [scaricabili all’indirizzo: https://users.cecs.anu.edu.au/~bdm/yabber/census/VillageStatistics1945orig.pdf] includono, nella loro prima pagina, i dati sulla popolazione (per una lettura più agevole si può cliccare su questo file semplificato, disponibile solo in inglese: 1945 Village Statistics original-1-3); e in queste statistiche i britannici notano anche che nel 1945 la popolazione ebraica possedeva solo il 6% della terra palestinese.

    In ogni caso, poiché i parametri non sono esattamente gli stessi in tutti e tre i documenti, il confronto va fatto con cautela, ad esempio per quanto riguarda (1) ebrei, musulmani, cristiani, latini, protestanti, eccetera, cioè le religioni; (2) le diverse religioni nella Tabella I e le lingue, la maggior parte delle quali è l’arabo, nella Tabella XXI; e (3) ebrei e arabi, cioè la commistione tra religione e razza.[]

  4. L’ebreo Arthur Ginsberg, il cui pseudonimo era Ahad Ha’am, scrisse nel 1891, dopo la sua prima visita nella Palestina storica: “Siamo abituati a credere… che la terra sia ora interamente deserta, arida e incolta… ma la verità è ben diversa. In tutto il Paese è difficile trovare campi arabili che non siano già coltivati”: https://www.jewishvirtuallibrary.org/ahad-ha-rsquo-am.[]
  5. È molto difficile ottenere dati aggregati affidabili sulle morti di arabi ed ebrei durante il Mandato britannico. Si veda la pagina 26 del libro di Dominique Vidal, “Antisionisme=Antisémitisme? Réponse à Emmanuel Macron”, Libertalia, 2018 e la pagina di Wikipedia contenente elenchi parziali: https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_killings_and_massacres_in_Mandatory_Palestine#cite_ref-RAABIC_1-19.[]
  6. https://www.un.org/unispal/document/auto-insert-196917/ All’interno di questo link, andare al documento nº5 e in particolare al suo allegato (enclosure in nº5), al suo secondo paragrafo, sesta frase.[]
  7. Il sito web del Museo dell’Olocausto di Israele afferma che, dopo il Libro Bianco del 1939, “i sionisti si trovarono di fronte a una situazione che richiedeva nuove decisioni… i sionisti dovettero riconoscere che l’alternativa a uno Stato in Palestina – l’opzione attiva, persino violenta – era stata loro imposta”….. Ora, dopo il maggio 1939, l'”opzione rivoluzionaria” menzionata da Chaim Arlosoroff nel 1932 era a portata di mano….Durante il 21° Congresso sionista (Ginevra, agosto 1939)… David Ben-Gurion, presidente dell’Agenzia ebraica, proclamò: “Il “Libro Bianco” ha creato un vuoto nel Mandato. Per noi il “Libro Bianco” non esiste in nessuna forma, in nessuna condizione e in nessuna interpretazione… e spetta a noi riempire questo vuoto, a noi soli… Noi soli dovremo agire come se fossimo lo Stato in Palestina; e dovremo agire così finché non lo saremo e finché non diventeremo lo Stato in Palestina”. https://www.yadvashem.org/articles/academic/holocaust-factor-birth.html[]
  8. Si veda il libro “El proceso de paz en Palestina” di Alfonso Iglesias Velasco, professore di Diritto pubblico internazionale presso l’Università Autonoma di Madrid (UAM) (ediciones UAM, 2000, pp. 36-37). Per un’analisi più dettagliata della questione, si veda un altro documento in questa sezione del sito web intitolato: “Propuesta de Solución al Conflicto entre Israel y Palestina” (Proposta di soluzione al conflitto tra Israele e Palestina).[]
  9. Questi due siti web elencano, rispettivamente, tutte le guerre arabo-israeliane e israelo-palestinesi dal 1948 a oggi: https://es.wikipedia.org/wiki/Conflicto_%C3%A1rabe-israel%C3%AD e https://es.wikipedia.org/wiki/Conflicto_israel%C3%AD-palestino.[]
  10. Tra questi storici e le loro opere, vale la pena di citare i seguenti: Ilan Pappé con “The Ethnic Celansing of Palestine“, Oxford Oneworld, 2006  e Benny Morris con “The Birth of Palestinian Refugee Problem Revisited“, Cambbridge University Press, 2004. Una mappa interattiva delle città e dei villaggi da cui la popolazione palestinese è stata espulsa durante la Nakba si trova alla seguente pagina: https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_towns_and_villages_depopulated_during_the_1947%E2%80%931949_Palestine_war. Si possono anche visitare siti web come: https://www.zochrot.org/articles/view/56528/en?iReturn; https://www.palestineremembered.com/index.html.[]
  11. Ein breira: principio ebraico della “non alternativa”. Questo principio, che era alla base della narrazione sionista sul coinvolgimento di Israele in guerre successive, fu infranto nel 1982 quando il Primo Ministro israeliano Menachem Begin tenne una conferenza all’Accademia militare sulle guerre di scelta e le guerre di non scelta e sostenne che sia la Guerra del Sinai del 1956 che la Guerra del Libano del 1982 erano guerre di scelta progettate per raggiungere obiettivi nazionali. https://www.gov.il/en/pages/55-address-by-pm-begin-at-the-national-defense-college-8-august-1982[]
  12. Per l’analisi dello storico israeliano Avi Shlaïm su la posizione di Shamir e su come e perché gli Stati Uniti abbiano smesso di essere un onesto mediatore, si veda il capitolo 7 del suo libro del 1995 “War and Peace”. Il libro può essere letto in inglese all’indirizzo: https://archive.org/details/warpeaceinmiddle0000shla/mode/1up. Per maggiori informazioni sugli accordi di Oslo, si veda: https://es.wikipedia.org/wiki/Acuerdos_de_Oslo. Per un’analisi più dettagliata di questa conferenza di pace e dell’intera rete di accordi che ne seguirono, si veda un altro documento in questa sezione del sito, intitolato: “Proposta di soluzione al conflitto tra Israele e Palestina”.[]
  13. Quando Internet non esisteva, le informazioni dovevano essere verificate in diversi annuari internazionali. Uno di questi, e forse il più famoso, era il “Keesing’s Record of World Events”, noto anche semplicemente come “Keesing”. Ebbene, nel suo volume 41, numero 7/8, datato 25/09/1995, pag. 40704, troviamo l’affermazione a cui si è appena risposto. Il documento è allegato qui di seguito e si deve andare alla terza pagina di questo pdf e vedere ciò che è evidenziato in giallo: 1995 Páginas del Keesing’s Recorld of World Events.[]
  14. ”Il sionismo religioso e l’assassinio di Rabin”. Tradition: A Journal of Orthodox Jewish Thought, vol. 48, n. 4, 2015, pp. 12-17. JSTOR, http://www.jstor.org/stable/44821371. Qui si spiega che Rabin fu assassinato perché il suo assassino, Yigal Amir, lo considerava un rodef, un persecutore che metteva in pericolo la vita degli ebrei, secondo il “din rodef” o “legge del persecutore” ebraica enunciata da Maimonide, che obbliga a salvare qualsiasi persona perseguitata dal suo persecutore, anche se ciò significa uccidere il persecutore. Lo stesso principio che Israele applica alle sue uccisioni mirate all’interno e all’esterno dei confini israeliani, uccisioni che sono illegali secondo il diritto internazionale.[]
  15. Il parere consultivo della CIG, disponibile solo in inglese e francese, è disponibile sul sito web della CIG: https://www.icj-cij.org/case/131, cliccando sulla colonna di destra alla voce “Advisory opinion”, il succo è nel paragrafo 163.[]
  16. Esistono innumerevoli documenti delle Nazioni Unite, e in particolare dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani, OHCHR, che trattano questo tema; come “esempio”, si vedano: https://www.ohchr.org/en/special-procedures/sr-palestine; https://undocs.org/en/A/73/447; https://undocs.org/es/A/77/356. La questione della violazione dei diritti umani della popolazione palestinese da parte di Israele sarà analizzata più approfonditamente in un altro documento di questa sezione del sito, intitolato: “Proposta di soluzione al conflitto tra Israele e Palestina “.[]
  17. Non sono a conoscenza di statistiche che mostrino il numero totale di arabo-palestinesi ed ebrei-israeliani morti nel conflitto israelo-palestinese. La somma aritmetica delle cifre riportate in questa “Breve cronologia” (trovando la media aritmetica laddove è stato indicato un intervallo) dà almeno 68.666 arabo-palestinesi e 10.829 ebrei-israeliani che hanno perso la vita nel conflitto dal 1900 al 1999. Tutte queste cifre sono state estratte dai siti web e/o dai libri corrispondenti, i cui riferimenti si trovano tutti come note a piè di pagina nel pdf che accompagna questa voce web in spagnolo-castigliano (castellano). Se a queste cifre si aggiungono quelle fornite dall’ONG B’tselem tra il 2000 e il settembre 2023, il numero totale di morti tra il 1900 e il settembre 2023 sarebbe di 79 338 arabo-palestinesi e 12 159 ebrei-israeliani.[]
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